Rapporto Svimez sull'economia e le condizioni del Mezzogiorno
Più emigrati, più povertà, più disoccupazione, meno consumi nel Sud d'Italia
Solo una giovane donna su cinque ha un lavoro. I redditi sono crollati del 15%. Due milioni di neet

Anche quest'anno il rapporto Svizmez (Associazione per lo Sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno) ha fotografato un'economia meridionale in caduta libera, in balia della crisi economica del capitalismo, degli interventi devastanti o inesistenti dei governi nazionali e locali, delle organizzazioni criminali. Non solo, il dato economico e politico che emerge con forza dal rapporto 2014 è che il crollo dell'economia meridionale, come l'impoverimento generalizzato delle masse meridionali, sta trascinando con sé l'intera economia e società nazionale.
Il calo delle nascite e le migrazioni verso il Centro-Nord stanno assumendo sempre più le dimensioni di uno Tsunami demografico. Nel 2013 ci sono stati più morti che nati al Sud. Il saldo negativo si era verificato soltanto altre due volte nel corso della storia dello Stato italiano, cioè nel 1867, dopo la Terza guerra d'Indipendenza, e nel 1918, alla fine del Primo conflitto mondiale. Nel 2013 il numero dei nati ha toccato il suo minimo storico, 177mila, il valore più basso mai registrato dal 1861.
In dieci anni, dal 2001 a l 2011, sono migrate dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord oltre 1 milione e mezzo di abitanti e nel 2013 si sono trasferiti dal Mezzogiorno al Centro-Nord circa 116 mila abitanti, andando a premere su un'offerta di lavoro già molto limitata.
Dati molto preoccupanti riguardano il calo dei consumi delle famiglie meridionali, (dal 2008 al 2013 -16,2% al Sud e -5,4% al Centro-Nord), che rischia di influire sempre più pesantemente sulla produzione concentrata al Centro-Nord. Del resto, il calo dei consumi è direttamente proporzionale all'aumento della povertà assoluta. Nel periodo 2007-2013 al Sud le famiglie assolutamente povere sono cresciute da 443mila a 1 milione 14mila.

Il lavoro
Dei 985mila ocupati che in Italia hanno perso il posto di lavoro, ben 583mila sono residenti nel Mezzogiorno. Nel Sud, dunque, pur essendo presente appena il 26% degli occupati italiani si concentra il 60% delle perdite determinate dalla crisi. Nel 2013, rispetto al 2012, il Sud ha perso oltre 17mila posti di lavoro in agricoltura, 98mila nell’industria e 166mila nei servizi. E la discesa continua anche nel 2014, anno apertosi con la presa del potere da parte del nuovo Berlusconi democristiano, Renzi. Nel secondo trimestre 2014 il Sud ha perso 170mila posti di lavoro rispetto all’anno precedente, contro -41mila nel Centro-Nord.
Il dato ufficiale della disoccupazione al Sud è di 19,7% e al Centro-Nord del 9,1% Ma per comprendere a fondo la realtà, bisogna aggiungere i “disoccupati impliciti”, coloro cioè che non hanno effettuato azioni di ricerca nei sei mesi precedenti l’indagine. Il tasso di disoccupazione reale nel Centro-Nord oltrepasserebbe la soglia del 13% e al Sud si attesterebbe al 19,7%.
E' soprattutto l’occupazione giovanile (under 34) a calare a precipizio. Il problema purtroppo riguarda l'intero territorio italiano e costituisce uno degli elementi della cosiddetta meridionalizzazione della penisola. Dal 2008 al 2013 sono andati persi in Italia 1 milione e 800mila posti di lavoro fra gli under 34. La sfiducia dei giovani verso il proprio futuro è un dato che sta crescendo velocemente in tutta Italia. Sono 3 milioni 593mila Neet (Not in education, employment or training, cioè i giovani che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in alcuna formazione sul lavoro) registrati nel 2013, 2 milioni sono donne e quasi 2 milioni si trovano al Sud.
Particolarmente difficile la condizione delle giovani meridionali. Solo una giovane su cinque ha un lavoro e spesso si tratta di lavori precari e supersfruttati. Peraltro, la scarsità di servizi all’infanzia e un sistema di tassazione che scoraggia la partecipazione al mercato del lavoro della donna, costringono queste ultime a ritirarsi dal mondo del lavoro. Oltre 1 milione e 100mila sono le donne che al Sud nel 2013 hanno smesso di lavorare.

La posizione del PMLI
I dati dello Svimez dimostrano senza ombra di dubbio che quella meridionale è la Questione nazionale. E lo è diventata a tal punto che rischia di trascinare nel fosso l'intera economia e società italiane. Colpisce il silenzio totale delle istituzioni sul Rapporto Svimez. Certo i mali del Mezzogiorno vengono da lontano, ma è vero anche che grazie agli interventi degli ultimi governi, Renzi compreso, si sono incancreniti alcuni degli elementi strutturali del problema: la condizione giovanile e quella femminile, la disoccupazione e la povertà. Aggiungiamo noi che i provvedimenti del governo Renzi, dalla Legge di Stabilità al Jobs act, proseguono nel programma di scaricare la crisi del capitalismo sui lavoratori e sulle masse popolari, soprattutto del Sud. Lottare per risolvere i problemi del Sud significa anzitutto lottare contro il governo Renzi per affossare il Jobs act e per conquistare il lavoro stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato. Significa lottare per creare in tutto il Mezzogiorno una struttura economica simile a quella che possiede il Centro-Nord attraverso piani straordinari, la destinazione di ingenti finanziamenti pubblici e l'utilizzazione di aziende pubbliche per lo sviluppo industriale, tecnologico e infrastrutturale, per il rilancio dell'industria, dell'agricoltura e il turismo, per il risanamento del degrado ambientale, rurale e urbano.
E', dunque, il governo Renzi il principale nemico delle masse popolari meridionali. Che tutte le forze politiche, sociali, sindacali, culturali e religiose democratiche e antifasciste cui sta a cuore la sorte del Sud, si uniscano per spazzare via il governo del Berlusconi democristiano.
Il ribaltamento definitivo delle sorti del Sud avverrà tuttavia solo abbattendo il capitalismo e facendo vincere l'Italia unita, rossa e socialista.
 

5 novembre 2014